24 dicembre 2013

Il Riformismo di Giuseppe Saragat



Dalle origini sarde ma nato a Torino nel 1898 da una famiglia borghese, Giuseppe Saragat fu uno dei maggiori rappresentanti del Riformismo italiano e fu considerato da molti il padre del Socialismo Democratico.
In realtà questo movimento era già attivo dal 1922 grazie al martire della Patria, Giacomo Matteotti (segretario dell'allora Partito Socialista Unitario).
Saragat s’ispirava al riformismo di Turati ed era un marxista convinto.
Mai lo convinsero invece i vari Lenin e Stalin: fin dal suo esilio in Austria (durante il fascismo) conobbe meglio di altri le vicissitudini russe venutesi a creare durante i regimi comunisti dei due "condottieri" dell'URSS.
Dal 1926 la sua formazione politica si arricchì delle dottrine dell'austromarxismo di Otto Bauer. È un periodo fondamentale per il giovane Saragat, dedicò infatti tutta la sua vita alla comprensione in senso democratico del marxismo, condannando i totalitarismi di stampo sovietico.
Per lui la democrazia non era un morbido materasso su cui il proletariato poteva in qualche modo adagiarsi ma era piuttosto un terreno di lotte per la conquista delle libertà.
La stessa lotta di classe era vista da Saragat come lotta per la libertà che, una volta conquistata, solo un sistema democratico l’avrebbe poi preservata nel tempo.
Spese inoltre la sua esistenza a esaltare i valori fondanti della Resistenza, nonostante non fu vissuta da lui in prima persona: era certamente un intellettuale poco avvezzo alla guerriglia, proprio nel '43 quando tornò in Italia, fu subito arrestato con Sandro Pertini, storica l'evasione organizzata poi dai partigiani che permise a entrambi i leader socialisti di compiere a Milano gli ultimi passi verso la Liberazione del 1945.
La Costituzione italiana porta la firma di Terracini ma Giuseppe Saragat fu il presidente dell'Assemblea Costituente fino al 1947 quando si dimise per occuparsi a pieno titolo della nascita del suo movimento: il Partito Socialista dei Lavoratori Italiani.
Il PSLI nacque nella storica scissione di Palazzo Barberini in dissenso con il suo compagno-rivale Pietro Nenni, che ritenne invece strategica un'alleanza dei socialisti con i comunisti.
Questa svolta fu un punto cruciale dell'azione politica di Saragat e il tempo diede ragione al nostro, poiché il famoso "frontismo social-comunista” non diede i frutti sperati.
Il Fronte Democratico Popolare, infatti, non seppe contrastare la Democrazia Cristiana (appoggiata dagli USA e dal clero) che fu così protagonista della stagione politica dal dopoguerra sino alla crisi di Tangentopoli nel 1992.
Il pensiero basilare di Saragat è sempre stato quello di evitare in Italia un comunismo di stampo sovietico e di contenere la politica moderata della DC evitando scivolamenti a destra tra missini e reazionari. Per questo motivo cercò di trovare un compromesso per alleanze con i democristiani dando vita ai primi timidi governi di centro-sinistra, protagonisti in seguito di una vera stagione riformista.
Anche in politica estera Saragat volle inizialmente porsi in mezzo tra due blocchi, quello occidentale e quello comunista, per permettere all'Europa di fondare un'unione di popoli che fosse autonoma dai due schieramenti. Così non fu (almeno fino al crollo del muro di Berlino).
Ben presto con la nascita della NATO si andò oltre il Piano Marshall e Saragat si schierò apertamente per il blocco occidentale, unico secondo lui in grado di garantire la libertà nonostante le contraddizioni del capitalismo e dell'imperante consumismo.
I finanziamenti americani appoggiarono le iniziative del suo partito e pian piano si trovò a essere aspramente criticato da sinistra, fu definito il “social-traditore”.
Ma lui era un uomo di sinistra, grande ammiratore delle socialdemocrazie del nord-Europa che riuscivano a rappresentare con la stessa efficacia sia il proletariato sia il ceto medio, garantendo benessere alla spina dorsale delle loro società.
Si ispirò proprio agli stati scandinavi per la prima elaborazione del welfare italiano che permise attraverso misure innovatrici un’offensiva contro la miseria nel nostro Paese profondamente provato dopo la seconda guerra mondiale.
Nel 1952 a seguito della fusione tra PSLI e PSU nacque formalmente il Partito Socialista Democratico Italiano che non divenne col tempo un partito di massa come forse i loro fondatori speravano.
Il PSDI non seppe attrarre i voti del ceto medio e le continue divisioni interne lo portarono fino a un minimo storico del 3% (nel 1987), gli scandali degli anni novanta lo seppellirono definitivamente.
Saragat non seppe gestire al meglio il suo partito, lui però rimase indenne dalle varie degenerazioni della politica: fu  autorevole, saggio, sempre disponibile al dialogo, dall’elevato rigore morale e dallo spiccato lato intellettuale.
Fu eletto Presidente della Repubblica nel 1964 e questa esperienza lo segnò tutta la vita, divenne uno tra i maggiori rappresentanti e difensori delle istituzioni democratiche.
Forse il suo eccessivo anticomunismo lo penalizzò nei rapporti diplomatici con la Sinistra ma non “odiava” il PCI, semplicemente non accettava che un partito comunista completamente diverso da quello di altri stati (succubi dell’egemonia sovietica) fosse incapace di distaccarsi dai finanziamenti di Mosca e da alcune posizioni di deferenza verso l’URSS. Il Partito Comunista Italiano proveniva dalla lotta di Resistenza e fu protagonista delle principali battaglie civili e per i diritti dei lavoratori.
Saragat da uomo di Sinistra era laico non consentiva l’ingerenza nella vita dello Stato da parte della Chiesa Cattolica e prese, a questo proposito, posizioni nette scrivendo a Moro durante le discussioni sulla legge che avrebbe poi permesso il divorzio in Italia.
Spesso nei suoi discorsi richiamava la difesa dei valori dell'antifascismo, furono proprio libertà e giustizia sociale le linee guida della sua politica socialista-democratica e riteneva la Resistenza come il secondo Risorgimento italiano.
Un “destino cinico e baro”, per citare le sue parole, segnò la sorte della socialdemocrazia in Italia.
Giuseppe Saragat si spense l’11 giugno del 1988 ma nonostante fosse impopolare nella ricerca di un riformismo che mirava a innovare il Paese per condurlo in Europa negli stessi anni Craxi valorizzò molto politiche riformiste di stampo socialista-democratico.
Riprendere oggi spunto dai momenti migliori di questi uomini significa piantare le fondamenta per la costruzione di una seria e moderna politica che possa ridare vanto al nostro Paese, capace con le sue risorse naturali, intellettuali, produttive, manifatturiere, agroalimentari di fare la differenza per qualità e capacità straordinarie.
Giuseppe Saragat possa così essere fonte d’ispirazione per i politici di oggi.

                                                                                                    Davide Tosello




(Bibliografia: “Giuseppe Saragat” di Fornaro Federico - Editore Marsilio)

4 dicembre 2013

SOCIALISTI DEMOCRATICI OGGI

Mi definisco un socialista democratico.
Essere socialista per me non significa appartenere a una particolare "setta" politica.
Non significa nemmeno far parte di un’élite legata a chissà quale lobby.
Significa innanzitutto credere nella libertà. Significa credere nella giustizia.
Se la giustizia è sana la libertà sarà piena, se la giustizia è compromessa la libertà non sarà declinata in ogni sua forma.
Un socialista mira a essere un uomo libero.
Deve pertanto concorrere, nel suo piccolo, a realizzare tale condizione.
In molti paesi del mondo è un'impresa ardua, occorrono coraggio e sacrificio.
In Italia occorrono volontà e dedizione.
I principi guida sanciti dalla nostra Costituzione sono condivisi da chi si definisce socialista democratico.
Ed è proprio la Socialdemocrazia l'attuazione pratica dei valori di uguaglianza, solidarietà, laicità, giustizia sociale, unità dello Stato che la stessa carta costituzionale ci ha lasciato in eredità da custodire, difendere ed elogiare.
Ovviamente c'è qualcosa in più che differenzia la nostra Repubblica Democratica da una Socialdemocrazia, quest'ultima si propone di definire le regole di gestione dei mercati.
Regole pubbliche per un mercato libero.
Un socialista democratico non vive nella speranza di una futura liberazione ma concorre nel presente alla costruzione del Socialismo.
Attraverso il cosiddetto Riformismo si gettano le basi per migliorare di volta in volta, in un contesto democratico, l'aspetto del mondo in cui viviamo, quale somma di società e ambiente.
L'impiego dei fattori produttivi se non è garantito dai soggetti economici privati deve essere assicurato dallo Stato attraverso nuova e ponderata spesa pubblica.
Promuovere il benessere attraverso il welfare è sicuramente un'altra sfida.
In Italia c'è molto da fare.
Offrire servizi moderni, snellire la pressante macchina burocratica, ispirarsi al merito e alle pari opportunità tra generi, investire in cultura, prevenire rischi idrogeologici sono tutti metodi che devono innescare crescita e sviluppo.
Purtroppo siamo distanti anni luce da un progresso di tipo socialista democratico.
La redistribuzione del reddito è un altro obiettivo fondamentale per un socialista.
Qui torna in auge un vecchio termine, peculiare dell'analisi marxista, quello della "lotta di classe".
Un termine utile a noi tutti e da impiegare senza dogmatismi per considerare di distribuire al meglio, con principi di uguaglianza, i redditi, riaccendendo la speranza di molte donne e molti uomini che questo Paese ha privato di dignità.
Certamente oggi non parliamo più di classi ma di categorie, il concetto non cambia: in questo terzo millennio permangono condizioni di oppressione e miseria ancora da debellare.
Prendendo in prestito e parafrasando la formula mazziniana "pensiero e azione" oggi noi socialisti abbiamo il compito di sensibilizzare l'opinione pubblica e agire, per quanto ci è possibile, nei campi in cui ci è permesso, al fine di rianimare quel movimento che da sempre si è battuto per i lavoratori tutti e che in Italia ha avuto un ruolo principe per serie politiche riformiste ma è stato sepolto dagli scandali del 1992.
I padri nobili del Socialismo ci hanno consegnato una storia fatta di successi e insuccessi, ma questa è la storia dell'Uomo.
Riprendiamo a studiarli e di fronte a noi si aprirà un mondo fatto di appassionate lotte per le libertà.
Ecco pertanto che la nostra azione si fonda sul pensiero di Andrea Costa, Filippo Turati, Giacomo Matteotti, Carlo Rosselli, Rodolfo Morandi, Gaetano Salvemini, Camillo Prampolini, Pietro Nenni, Sandro Pertini e il padre del socialismo democratico Giuseppe Saragat.
Il mio articolo vuole risvegliare quelle anime che, durante la diaspora socialista, si sono allontanate dalla politica.
Il presente è adesso! E adesso dobbiamo riprendere quel percorso riformista che può permettere all'Italia di allinearsi con gli stati moderni per il miglioramento della qualità della vita, per la piena occupazione, per l'utilità di servizi, per una seria lotta alla povertà.
Siate voi socialisti senza partito, o nel PSI, o in SEL, o nel PD non dimenticatevi il fine ultimo, Carlo Rosselli ce lo ricorda in una sua nota frase: "Il Socialismo non è né la socializzazione, né il proletariato al potere e neppure la materiale uguaglianza. Il Socialismo, colto nel suo aspetto essenziale, è l’attuazione progressiva della idea di libertà e di giustizia tra gli uomini”. 


Dedico questo articolo ad alcuni amici e compagni che da sempre promuovono valori socialisti e democratici:
Giocondo Berti (PD), Lorenzo Borla (PD) e Giacomo Forcella (PSI). 

                                                                                                   Davide Tosello